Friday, December 11, 2009

40 anni, Piazza Fontana

Domani saranno 40 anni, 12 dicembre 1969, Milano, ore 16:37, piazza Fontana, diciassette morti e ottantotto feriti. Più o meno nelle stesse ore scoppiavano altri cinque ordigni tra Roma e Milano, senza provocare vittime.


E' la nostra storia, 40 anni di storia. E la storia è politica, come qualsiasi cosa che attiene l'uomo come animale sociale, un susseguirsi di fatti e di relazioni tra uomo e uomo, costruzioni, cambiamenti, innovazini e anche omicidi, che spesso restano senza colpevoli, come in questa storia, per l'appunto..
Personalmente sono convinto che quel 12 dicembre del 1969 rappresenti un punto nevralgico e cruciale per gli anni venuti a seguire al tragico evento. Piazza Fontana è la mamma di tutte le stragi, la causa della violenza degli anni '70, morte, degenerazione, intolleranza. Dopo questo avvenimento, qualcuno ha trovato il pretesto reale per difendersi contro il fascismo; altri, sul versante opposto, hanno visto nei movimenti un pericolo per l'Italia, negli scioperi una minaccia al sistema ed ai propri privilegi, la fine della morale borghese e la morte della patria. Da questi semi di odio prende corpo l'eversione di destra e di sinistra che tanti ricordano negli anni '70 e '80: sequestri, omicidi politici, il lungo elenco delle stragi nere.
Quel che è certo è che l'enorme potenzialità, vitalità e voglia di cambiamento nati con i movimenti del 1968, nelle fabbriche, nelle scuole, nei quartieri, da quel momento in poi verranno segnati o deviati nel loro percorso. E' stato come piazzare una pietra sul tragitto: si poteva aggirarla a destra o a sinistra, oppure scavalcarla, ma la pietra era lì. E qualcuno quella pietra l'aveva messa, forse non per pura casualità.
40 anni son trascorsi; un varco enorme di tempo e di dimenticanza, tanto che oggi, nel 2009, molti giovani non sanno cosa sia avvenuto quel 12 dicembre del 1969, tanto che ho sentito dire che fu un attentato delle Brigate rosse, la mafia o chissà chi altro.
Certo, per un ragazzo di oggi il 1969 appare preistoria, è la stessa distanza temporale che avvertivo io nel 1985 rispetto alla seconda guerra mondiale. Ma credo valga la pena ricordare, e ricordarci.

Le immagini del funerale in una piazza Duomo nebbiosa, fredda e silenziosa ci mostrano sguardi ruvidi in un lontano bianco e nero, ormai repertorio del secolo trascorso. Sembra una scena estratta da un racconto di Simenon, a Parigi, con Maigret Gino Cervi che si aggira con pipa, cappotto e bavero alzato nei paraggi della Senna. Manca solo il sottofondo di Tenco per dargli profondità visuale.
Si avverte il freddo pungente, dalle facce traspare lo smarrimento e anche una certa consapevolezza che qualcosa di grave è successo e che qualcosa da quel momento in poi sarà diverso, per sempre. Il 68 era esploso l'anno precedente, l'autunno caldo delle fabbriche era ancora in corso e adesso: una bomba.
Il primo poliziotto che arriva sul posto, un tale Achille Serra, chiama in questura e chiede l'invio dei soccorsi; gli rispondono che manderanno subito una ambulanza. Fa fatica a spiegargli che non è di una ambulanza che c'era bisogno, bensì di un centinaio di ambulanze. Milano non era Belfast e i bombardamenti della seconda guerra mondiale erano ormai dimenticati. Un fatto del genere coglie impreparate in primo luogo le forze dell'ordine e i pompieri.

40 anni di indagini e di processi si dipaneranno nel tempo, ma la macchina delle congetture non tarda un secondo a mettersi in moto, subito, nei pochi giorni successivi alla strage.
Caccia agli anarchici e un ballerino in galera per tre anni: "il mostro è stato catturato", così titolava il Corriere della sera il 16 dicembre, mentre il Presidente della repubblica Saragat si complimentava per la celerità delle indagini.
Abbiamo visto Giuseppe Pinelli, ferroviere, attivista nell'area anarchica milanese, volare da una finestra della questura: morte accidentale. Il commissario Calabresi pagò come capro espiatorio del malore "attivo" di Pinelli, falciato lui stesso in un parcheggio, qualche anno dopo. Dagli atti del processo, redatti da Gerardo D'Ambrosio, leggiamo che "il commissario Calabresi non era nel suo ufficio al momento della morte di Pinelli". Altre due vittime posson così aggiungersi al lungo elenco di quel 12 dicembre.

Sette processi, Roma, Milano, per finire addirittura a Catanzaro, attraversano i decenni della storia italiana, vedendo passare per le aule dei tribunali esponenti della Democrazia Cristiana, Andreotti con i suoi 33 volte "non ricordo", poliziotti, marescialli, colonnelli, servizi segreti, la NATO, la CIA, Licio Gelli, la P2, segretari di partito, Pino Rauti, Ordine Nuovo, Stefano Delle Chiaie, Avanguardia Nazionale, Giannettini, collaboratori del SID, Delfo Zorzi, Merlino, infiltrati dei servizi segreti, Freda, Ventura ecc. Pare impossibile leggere tale sfilza di nomi e di sigle e non pensare che si tratti della fantasia di serie B di un Don Brown.
Strategia della tensione, rami deviati del SID, strage di Stato, regia democristiana e mano fascista, preparazione per un golpe in Italia, mano anarchica armata da esplosivo fornito dall'estrema destra, due bombe, tre bombe, esplosione anticipata per errore ... una sceneggiatura da colossal del thriller.

Nel 2005, trentasei anni dopo, l'ultima sentenza: nessuna verità processuale, tutti assolti.
Per quanto possa servire, ma a mio parere tutt'altro che inutile, ci resta in ogni caso la verità storica e la condanna "morale" stabilita dalla Corte di Cassazione, che ha confermato la responsabilità di Freda e Ventura in ordine alla strage, organizzata, si legge, da "un gruppo eversivo costituito a Padova nell'alveo di Ordine Nuovo" e "capitanato da Franco Freda e Giovanni Ventura.
Ovviamente, i due imputati sono già stati assolti irrevocabilmente dalla Corte d'assise d'appello di Bari, che li ha condannati solo per le bombe sui treni e, di conseguenza non sono più imputabili per legge. Leggiamo anche che "la cellula veneziana di Maggi e Zorzi" nel 1969 organizzava attentati, ma "non è dimostrata la loro partecipazione alla strage del 12 dicembre"; certifica la "veridicità e genuinità" delle parole del pentito Martino Siciliano, ex di Ordine Nuovo di Mestre, ossia che "Siciliano ha partecipato alla riunione con Zorzi e Maggi dell'aprile '69 nella libreria Ezzelino di Padova" in cui "Freda annunciò il programma degli attentati ai treni". Tuttavia, poichè tali bombe non provocarono vittime, non è dimostrato il coinvolgimento di Maggi e Zorzi nella "strategia stragista di Freda e Ventura".
In definitiva, secondo la Cassazione, "i tragici fatti del 12 dicembre 1969 non rappresentano una 'scheggia impazzita' ma il frutto di un coordinato 'acme' operativo iscritto in un programma eversivo ben sedimentato, ancorché di oscura genesi, contorni e dimensioni".
In tutte le indagini risulta chiaro il collegamento fra i "nostri" servizi segreti e i movimenti di estrema destra di quegli anni. Nel 1972 il Sid fa espatriare in Spagna con passaporto falso il latitante Pozzan, ricercato per concorso nell’attentato di piazza Fontana; sempre il Sid aiuta addirittura Ventura nel 1972, detenuto nel carcere di Monza, facendogli avere la chiave della cella e delle bombolette di gas narcotizzante per neutralizzare le guardie di custodia permettendogli la fuga; ancora il Sid fa espatriare in Francia il proprio collaboratore Giannettini, sospettato di coinvolgimento nella strage, dove continuerà ad essere stipendiato dai Servizi.


Giovanni Arnoldi
Giulio China
Eugenio Corsini
Pietro Dendena
Carlo Gaiani
Calogero Galatioto
Carlo Garavaglia
Paolo Gerli
Vittorio Mocchi
Luigi Meloni
Mario Pasi
Carlo Perego
Oreste Sangalli
Angelo Scaglia
Carlo Silvia
Attilio Valè
Gerolamo Papetti: deceduti il 12 dicembre 1969.

Franco Freda, avellinese di origine, padovano di adozione, milita nella gioventù missina alle superiori e nel Fuan all’università. Abbandona l’Msi ed entra in Ordine Nuovo di Pino Rauti. Ha sempre manifestato pubblicamente la sua devozione per Hitler e Himmler.

Giovanni Ventura, trevisano, militante dell’Msi. Amico di Freda, neonazista.

Delfo Zorzi, capo operativo della cellula veneta di ordine Nuovo, per sua stessa ammissione, è l'esecutore materiale della strage. Dopo l’attentato scappa in Giappone dove tuttora risiede, miliardario, sotto la protetezione del governo nipponico che ha sempre rifiutato di concedere l’estradizione.

In 38 anni, non è mai stata emessa una condanna definitiva per la strage. Il 3 maggio 2005 sono stati assolti definitivamente gli ultimi indagati. Attualmente non vi è alcun procedimento giudiziario aperto, ma qualche verità la conosciamo comunque.

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