Sunday, December 13, 2009

Il grave attentato a SIlvio Berlusconi

Giulio Cesare morì accoltellato, e tra i congiurati c'era persino il figlio; Adolf Hitler scampò a un attentato dinamitardo ... l'italico Silvio Berlusconi è stato invece colpito da un souvenir, pare una statuetta del Duomo di Milano, per mano di un malato di mente.
Questo non gli impedirà di salire agli onori della cronaca, ma, forse, non sarà un episodio degno dei libri di storia del futuro. Insomma, a ben vedere, anche questo episodio si inserisce bene nella storiografia del personaggio.



Sprezzante del pericolo e del dolore, con una maschera di sangue sul viso, il nostro baldo Presidente del Consiglio non esita a salire sul pianale della vettura per salutare la folla.
Una ferita al labbro, TAC in ospedale: "io miracolato" afferma il premier.
Pare veramente un perfetto documentario del trentennio.

Fortunatamente si è subito appurato che l'attentatore è un personaggio con gravi problemi psichici e non il temuto (e sperato) anarchico o estremista dei centri sociali. Il giorno dopo del quarantennale di piazza Fontana rischiava altrimenti di regalarci un Valpreda del 2009; stranamente, la foto terrorizzata del signor Tremaglia mi ricorda tanto l'immagine di Valpreda durante l'arresto di tanti anni fa.



Resta il fatto che l'attentatore vota Pd, come tutta la sua famiglia, "ma in casa - assicura il padre Alessandro - nessuno odia Berlusconi. Mai fatto politica attiva", spiega il genitore. "Non ha mai fatto del male a nessuno: è un volontario del WWF".
Molto importante questa presa di posizione del padre; fosse stato un militante avremmo rischiato la guerra civile.
A questo punto il coro è unanime: l'episodio è figlio diretto del clima di violenza del periodo e il Pdl denuncia la campagna di odio che da tempo è in corso.
Senza bisogno delle tante vittime che il 12 dicembre del '69 diedero il via alla strategia della tensione, nel 2009 è sufficiente una statuetta del Duomo di Milano.

Il ministro del Pdl per le politiche comunitarie, Andrea Ronchi, ha chiesto l'oscuramento dei siti web e dei social network "in cui si inneggia alla vigliacca aggressione subita dal presidente Silvio Berlusconi. E' scandaloso e moralmente inaccettabile - ha detto - ciò che stiamo leggendo in queste ore: si tratta di espressioni vergognose. E' ora di dire basta ai seminatori d'odio e a chi vuole instaurare in Italia un clima da guerra civile".
il sottosegretario all'Interno, Alfredo Mantovano, invece, assicurao che la polizia postale controllerà i siti internet in cui si esalta l'aggressione di Massimo Tartaglia, al fine di risalire agli eventuali responsabili della "campagna d'odio" che corre lungo la Rete. "Ci sarà un monitoraggio di questi siti", ha affermato Mantovano.

Negli USA si è arrivati a simili iniziative, molto dibattute, dopo le migliaia di vittime causate dalla strage delle Torri gemelle.
Al posto delle torri, noi abbiamo una piccola stauina del Duomo di Milano.



Roby

Friday, December 11, 2009

SEAN COSTELLO

Vorrei parlarvi di un personaggio poco conosciuto in Italia, che a mio parere è stato uno dei migliori chitarristi blues degli ultimi anni: Sean Costello.
Nato nel 1979 a Filadelfia, ma cresciuto ad Atlanta, città dove trascorre la sua intera esistenza, Sean inizia a suonare la chitarra all'età di 9 anni, come autodidatta.



A 14 anni, nel 1994, vince il "the Beale Street Blues Society's talent award", un premio dedicato ai giovani talenti.
Nel 1996, a soli 17 anni, pubblica il suo album di esordio, "Call the Cops", ottimo lavoro dove la metà dei brani sono firmati di suo pugno e il resto è dedicato a una rilettura di classici del blues, come "Anna Lee," "Take A Little Walk With Me," "Sit Down Baby".
Sebbene trattasi di un lavoro giovanile, troviamo in esso già tanti elementi del mondo di Costello: il suo tipico sapore retrò, echi provenienti dagli anni '50 e sonorità dimenticate, netto segno di distinzione e originalità e non la classica sottomissione ed emulazione tipica dell'esordiente a mostri sacri come SRV o Clapton. A differenza di altri virtuosi dello strumento, come Bonamassa per esempio, Costello parte da molto più lontano e la chitarra è sempre funzionale al brano.
Il suo stile chitarristico è privo di autocompiacimento e la tecnica non è mai fine a se stessa; non c'è la necessità di stupire, la chitarra è al servizio della canzone e del suo "feel", con economia di note, ampio spazio a vuoti e pause e respiro al "tone". Un les paul 54, il suono asciutto e diretto dei P90, nessuna distorsione o effetti speciali, Costello è un piatto senza condimenti, viscerale e verace.

Nei due anni seguenti alla pubblicazione di "Call the Cop", lo vediamo in tour con Susan Tedeschi, come chitarra solista, e compare nell'album "Just Won't Burn" della bella signora.
Dopo tanti palchi e tour, nel 2000 esce "Cuttin' In", il suo secondo lavoro, che si rivela subito un successo all'interno della comunità degli appassionati del blues, tanto da vincere la nomination W.C. Handy Award come miglior album di esordio.
Rispetto al precedente "Call the Cops", si avverte subito una diversa attenzione a particolari e sfumature sonore, segno di un nuovo percorso di ricerca musicale. Il materiale spazia all'interno del panorama blues, dalle influenze texane al jump blues, fino ai toni caraibici di un funky calypso come "Goombay Rock". Favolosa la rilettura del classico di Otis Rush, “Double Trouble”, riportata alla sua essenza originaria dopo la sfarzosa intepretazione di Clapton.

Del 2001 è il terzo lavoro, "Moanin' for Molasses", album che lo consacra definitivamente come uno dei migliori chitarristi blues della nuova generazione.
Costello si butta a capofitto nella tradizione di Chicago e New Orleans, rileggendo materiale di Jimmy Rogers, Buddy Guy, Jody Williams, J.B. Lenoir e Otis Rush. Con la ballata "“I Want You So Bad” di James Brown e "You Can't Win With a Losing Hand" di Johnnie Taylor inizia invece un percorso attraverso il soul e il R&B che troverà sfocio nei progetti successivi. La voce di Costello è più matura e potente, mentre lo stile chitarristico è sempre asciutto e incisivo, totalmente al servizio dei brani e senza compromessi; non a caso, questi vengono tutti contenuti sotto i quattro se non i tre minuti di durata.

Nel 2004 esce "Sean Costello", ma la casa discografica fallisce pochi mesi dopo l'uscita del disco, che non gode quindi di alcuna promozione.
Prodotto da Steve Rosenthal, l'album è una miscela di soul, funk e rock. Il repertorio spazia da Johnny Taylor ad Al Green, compresa una ispirata versione di "Simple Twist of Fate" del vecchio Dylan. Nel disco compaiono alcuni ospiti, il più importante di tutti è l'ex batterista della Band, Levon Helm, coautore con Costello della bellissima ballata "Don't pass me by". Sette sono i pezzi firmati da Costello e tutti mettono in luce il suo talento in veste di songwriter, a partire dal ritmo trascinante e ballabile del take di apertura "No half Steppin".

Nel febbraio del 2008 esce quello che a mio parere è il suo gioiellino, "We Can Get Together", prodotto dallo stesso Costello, l'album della maturità, carico di blues e rimandi soul, uno dei pochi dischi recenti che ho macinato come facevo diversi anni fa.
Nove pezzi portano la firma di Costello, mentre due sono dei traditional totalmente riarrangiati con il suo marchio di fabbrica. Il clima va dalla ruggine di "Hard Luck Woman" e "Anytime You Want" al ritmo funkeggiante di "Can't let go", dagli echi alla Stones di "Same Old Game" alla marcetta funebre con sezione di fiati di "Told me a lie".
La straziante "Have you no shame" mette in risalto anche le doti vocali del chitarrista, il traditional "Going Home" viene trasportato in un gospel funkeggiante, mentre "How in the Devil" ci catapulta nel puro stile Chicago. Un lavoro completo e definitivo, sotto tutti i punti di vista; un testamento giovanile.
Purtroppo, dopo solo due mesi dall'uscita del disco, il 18 aprile del 2008, il giorno prima del suo ventinovesimo compleanno, Costello viene trovato morto in un hotel di Atlanta.
Come al solito, la causa è una delle peggiori nemiche del rock n roll, la stessa che uccise Hendrix, la Joplin e tanti altri: overdose da stupefacenti.

Come è riportato nelle testimonianze sul suo myspace, Costello ebbe la fortuna di guadagnare il rispetto dei suoi idoli e l'opportunità di dividere il palco con i suoi mentori: B.B. King, Buddy Guy, James Cotton, Pinetop Perkins e Bo Diddley tra i tanti.
Un chitarrista insolito, che preferiva suonare la canzone prima di suonare la chitarra-

"All I've ever wanted to do was play the guitar well. I've been fortunate to be able to make a living doing it, and I plan to keep it up for the rest of my life."

Qui potete ascoltare alcuni suoi brani:
http://www.myspace.com/seancostello

Su Youtube potete invece trovare diversi suoi video, ammirare la sua tecnica e la sua splendida les paul del 54.

Qui alcuni estratti di un concerto in un piccolo pub di New York:

http://www.youtube.com/watch?v=jSYmZea1H1Y&feature=related
http://www.youtube.com/watch?v=UKeL6MGTq80&feature=related
http://www.youtube.com/watch?v=_4mMYqr__K0

Buon ascolto.

Roby

40 anni, Piazza Fontana

Domani saranno 40 anni, 12 dicembre 1969, Milano, ore 16:37, piazza Fontana, diciassette morti e ottantotto feriti. Più o meno nelle stesse ore scoppiavano altri cinque ordigni tra Roma e Milano, senza provocare vittime.


E' la nostra storia, 40 anni di storia. E la storia è politica, come qualsiasi cosa che attiene l'uomo come animale sociale, un susseguirsi di fatti e di relazioni tra uomo e uomo, costruzioni, cambiamenti, innovazini e anche omicidi, che spesso restano senza colpevoli, come in questa storia, per l'appunto..
Personalmente sono convinto che quel 12 dicembre del 1969 rappresenti un punto nevralgico e cruciale per gli anni venuti a seguire al tragico evento. Piazza Fontana è la mamma di tutte le stragi, la causa della violenza degli anni '70, morte, degenerazione, intolleranza. Dopo questo avvenimento, qualcuno ha trovato il pretesto reale per difendersi contro il fascismo; altri, sul versante opposto, hanno visto nei movimenti un pericolo per l'Italia, negli scioperi una minaccia al sistema ed ai propri privilegi, la fine della morale borghese e la morte della patria. Da questi semi di odio prende corpo l'eversione di destra e di sinistra che tanti ricordano negli anni '70 e '80: sequestri, omicidi politici, il lungo elenco delle stragi nere.
Quel che è certo è che l'enorme potenzialità, vitalità e voglia di cambiamento nati con i movimenti del 1968, nelle fabbriche, nelle scuole, nei quartieri, da quel momento in poi verranno segnati o deviati nel loro percorso. E' stato come piazzare una pietra sul tragitto: si poteva aggirarla a destra o a sinistra, oppure scavalcarla, ma la pietra era lì. E qualcuno quella pietra l'aveva messa, forse non per pura casualità.
40 anni son trascorsi; un varco enorme di tempo e di dimenticanza, tanto che oggi, nel 2009, molti giovani non sanno cosa sia avvenuto quel 12 dicembre del 1969, tanto che ho sentito dire che fu un attentato delle Brigate rosse, la mafia o chissà chi altro.
Certo, per un ragazzo di oggi il 1969 appare preistoria, è la stessa distanza temporale che avvertivo io nel 1985 rispetto alla seconda guerra mondiale. Ma credo valga la pena ricordare, e ricordarci.

Le immagini del funerale in una piazza Duomo nebbiosa, fredda e silenziosa ci mostrano sguardi ruvidi in un lontano bianco e nero, ormai repertorio del secolo trascorso. Sembra una scena estratta da un racconto di Simenon, a Parigi, con Maigret Gino Cervi che si aggira con pipa, cappotto e bavero alzato nei paraggi della Senna. Manca solo il sottofondo di Tenco per dargli profondità visuale.
Si avverte il freddo pungente, dalle facce traspare lo smarrimento e anche una certa consapevolezza che qualcosa di grave è successo e che qualcosa da quel momento in poi sarà diverso, per sempre. Il 68 era esploso l'anno precedente, l'autunno caldo delle fabbriche era ancora in corso e adesso: una bomba.
Il primo poliziotto che arriva sul posto, un tale Achille Serra, chiama in questura e chiede l'invio dei soccorsi; gli rispondono che manderanno subito una ambulanza. Fa fatica a spiegargli che non è di una ambulanza che c'era bisogno, bensì di un centinaio di ambulanze. Milano non era Belfast e i bombardamenti della seconda guerra mondiale erano ormai dimenticati. Un fatto del genere coglie impreparate in primo luogo le forze dell'ordine e i pompieri.

40 anni di indagini e di processi si dipaneranno nel tempo, ma la macchina delle congetture non tarda un secondo a mettersi in moto, subito, nei pochi giorni successivi alla strage.
Caccia agli anarchici e un ballerino in galera per tre anni: "il mostro è stato catturato", così titolava il Corriere della sera il 16 dicembre, mentre il Presidente della repubblica Saragat si complimentava per la celerità delle indagini.
Abbiamo visto Giuseppe Pinelli, ferroviere, attivista nell'area anarchica milanese, volare da una finestra della questura: morte accidentale. Il commissario Calabresi pagò come capro espiatorio del malore "attivo" di Pinelli, falciato lui stesso in un parcheggio, qualche anno dopo. Dagli atti del processo, redatti da Gerardo D'Ambrosio, leggiamo che "il commissario Calabresi non era nel suo ufficio al momento della morte di Pinelli". Altre due vittime posson così aggiungersi al lungo elenco di quel 12 dicembre.

Sette processi, Roma, Milano, per finire addirittura a Catanzaro, attraversano i decenni della storia italiana, vedendo passare per le aule dei tribunali esponenti della Democrazia Cristiana, Andreotti con i suoi 33 volte "non ricordo", poliziotti, marescialli, colonnelli, servizi segreti, la NATO, la CIA, Licio Gelli, la P2, segretari di partito, Pino Rauti, Ordine Nuovo, Stefano Delle Chiaie, Avanguardia Nazionale, Giannettini, collaboratori del SID, Delfo Zorzi, Merlino, infiltrati dei servizi segreti, Freda, Ventura ecc. Pare impossibile leggere tale sfilza di nomi e di sigle e non pensare che si tratti della fantasia di serie B di un Don Brown.
Strategia della tensione, rami deviati del SID, strage di Stato, regia democristiana e mano fascista, preparazione per un golpe in Italia, mano anarchica armata da esplosivo fornito dall'estrema destra, due bombe, tre bombe, esplosione anticipata per errore ... una sceneggiatura da colossal del thriller.

Nel 2005, trentasei anni dopo, l'ultima sentenza: nessuna verità processuale, tutti assolti.
Per quanto possa servire, ma a mio parere tutt'altro che inutile, ci resta in ogni caso la verità storica e la condanna "morale" stabilita dalla Corte di Cassazione, che ha confermato la responsabilità di Freda e Ventura in ordine alla strage, organizzata, si legge, da "un gruppo eversivo costituito a Padova nell'alveo di Ordine Nuovo" e "capitanato da Franco Freda e Giovanni Ventura.
Ovviamente, i due imputati sono già stati assolti irrevocabilmente dalla Corte d'assise d'appello di Bari, che li ha condannati solo per le bombe sui treni e, di conseguenza non sono più imputabili per legge. Leggiamo anche che "la cellula veneziana di Maggi e Zorzi" nel 1969 organizzava attentati, ma "non è dimostrata la loro partecipazione alla strage del 12 dicembre"; certifica la "veridicità e genuinità" delle parole del pentito Martino Siciliano, ex di Ordine Nuovo di Mestre, ossia che "Siciliano ha partecipato alla riunione con Zorzi e Maggi dell'aprile '69 nella libreria Ezzelino di Padova" in cui "Freda annunciò il programma degli attentati ai treni". Tuttavia, poichè tali bombe non provocarono vittime, non è dimostrato il coinvolgimento di Maggi e Zorzi nella "strategia stragista di Freda e Ventura".
In definitiva, secondo la Cassazione, "i tragici fatti del 12 dicembre 1969 non rappresentano una 'scheggia impazzita' ma il frutto di un coordinato 'acme' operativo iscritto in un programma eversivo ben sedimentato, ancorché di oscura genesi, contorni e dimensioni".
In tutte le indagini risulta chiaro il collegamento fra i "nostri" servizi segreti e i movimenti di estrema destra di quegli anni. Nel 1972 il Sid fa espatriare in Spagna con passaporto falso il latitante Pozzan, ricercato per concorso nell’attentato di piazza Fontana; sempre il Sid aiuta addirittura Ventura nel 1972, detenuto nel carcere di Monza, facendogli avere la chiave della cella e delle bombolette di gas narcotizzante per neutralizzare le guardie di custodia permettendogli la fuga; ancora il Sid fa espatriare in Francia il proprio collaboratore Giannettini, sospettato di coinvolgimento nella strage, dove continuerà ad essere stipendiato dai Servizi.


Giovanni Arnoldi
Giulio China
Eugenio Corsini
Pietro Dendena
Carlo Gaiani
Calogero Galatioto
Carlo Garavaglia
Paolo Gerli
Vittorio Mocchi
Luigi Meloni
Mario Pasi
Carlo Perego
Oreste Sangalli
Angelo Scaglia
Carlo Silvia
Attilio Valè
Gerolamo Papetti: deceduti il 12 dicembre 1969.

Franco Freda, avellinese di origine, padovano di adozione, milita nella gioventù missina alle superiori e nel Fuan all’università. Abbandona l’Msi ed entra in Ordine Nuovo di Pino Rauti. Ha sempre manifestato pubblicamente la sua devozione per Hitler e Himmler.

Giovanni Ventura, trevisano, militante dell’Msi. Amico di Freda, neonazista.

Delfo Zorzi, capo operativo della cellula veneta di ordine Nuovo, per sua stessa ammissione, è l'esecutore materiale della strage. Dopo l’attentato scappa in Giappone dove tuttora risiede, miliardario, sotto la protetezione del governo nipponico che ha sempre rifiutato di concedere l’estradizione.

In 38 anni, non è mai stata emessa una condanna definitiva per la strage. Il 3 maggio 2005 sono stati assolti definitivamente gli ultimi indagati. Attualmente non vi è alcun procedimento giudiziario aperto, ma qualche verità la conosciamo comunque.